La nostra società ha perso, o forse non ha mai sviluppato, la reale capacità di perdonare e di comprendere il punto di vista altrui. L’essere umano, nonostante sia un animale sociale, tende sempre più a non condividere ciò che è nell’animo e, nutrendo un profondo senso di solitudine, sorride quando sente il bisogno di piangere, piange per ottenere l’oggetto che desidera, studia ingegneria per soddisfare i sogni e le aspettative della mamma, non dice ciò che pensa e, così facendo, crea relazioni false, un circolo negativo che, come un vortice, lo consuma e lo conduce sempre più alla separazione, alla frustrazione e all’isolamento.
L’uomo moderno è malato della sua incapacità di relazionarsi e, allo stesso modo in cui l’obeso cerca la dieta miracolosa anziché mutare il proprio stile di vita, egli non cerca di allenare la propria debolezza, si concentra sul problema finale cercando terapie o pillole miracolose per guarire le proprie ansie, le depressioni, le crisi di panico, la gastrite o quant’altro. Evita i conflitti anziché cercare le soluzioni, appena può scansa il confronto, si batte per le proprie idee senza averle sperimentate e, convinto di essere la vittima del mondo, osserva attraverso le sue lenti opache senza accorgersi di indossarle.
Non a caso i matrimoni sono instabili e i figli sono confusi tra madri biologiche, amiche del padre o della madre; gli amici sono fiori esotici introvabili e chi ha più amici delle dita di una mano si ritiene una persona socialmente speciale. È più facile conoscere a memoria la formazione della squadra del Pizzighettone che il nome del vicino di casa con cui si condivide il pianerottolo; il lavoro occupa tutta la giornata, non soddisfa e genera frustrazione soprattutto a causa delle relazioni tese e competitive…
Il risultato è una zuppa tossica fatta con una strana mistura d’ingredienti, alcuni sani altri avariati e immangiabili, il tutto condito con una spolverata di funghi velenosi. Viviamo in una società malata,
incapace di rispettare lo spirito amorevole insito nella natura umana, incapace di far risplendere la scintilla divina dell’animo umano che, soffocato da insegnamenti vuoti e da modelli educativi formali e mai sostanziali, perde di vista i reali bisogni,considerando prioritario ciò che non è.
Desiderare di costruire una comunità o pensare di vivere in cohousing senza considerare che l’esperienza della stretta convivenza, come in un matrimonio, è fatta di luci e ombre, di gioie e dolori, di momenti di profonda comprensione e di litigi tesi dove la conflittualità è una bomba a orologeria pronta a esplodere al minimo contatto, significa essere fallimentari in partenza e cercare qualcosa che non esiste come incamminarsi per un viaggio senza aver preparato un’adeguata valigia.
Mentre il modello che ci spinge alla costruzione di una società solo formale spopola ed è pubblicizzato incoscientemente dai media, nell’ultimo ventennio sono sorte realtà che sperimentano modelli di vita che pongono al centro dell’esistenza le relazioni, la solidarietà e il sostegno reciproco.
In LUMEN abbiamo sperimentato che dai contrasti e dai conflitti, volendo, si possono estrapolare gemme preziose, esperienze profonde che consentono di riconoscersi in ciò che accade, elementi indispensabili per migliorare se stessi e imparare realmente a vivere con e tra gli altri. Le tensioni, le incomprensioni e i disaccordi sono veri e propri strumenti che, se portati alla luce, permettono di consolidare le relazioni e di osservare i propri meccanismi fino a superarli rinnovando se stessi e, di conseguenza, l’intera comunità.
Davide